Il caso Alitalia: Un’occasione mancata

30 Set

[di Luca Francesconi]

A seguito degli ultimi sviluppi della vicenda Telecom, come ciclicamente succede ogni volta che una azienda di casa nostra viene messa in vendita, vediamo campeggiare sulle principali testate giornalistiche titoli altisonanti come Italia in svendita, oppure Vendiamo i gioielli di famiglia.

Molti italiani infatti hanno la strana concezione che prima di vendere un’azienda a imprenditori stranieri sarebbe d’obbligo tentare di comprarla con i soldi pubblici, magari tramite C.d.p. (la mano imprenditoriale del ministero dell’economia), oppure di affidarla, anche a condizioni peggiori, a un imprenditore nostrano, al fine di difendere il patrimonio nazionale.

La storia invece ci insegna che quando viene annullato il mercato e di conseguenza protetto qualcuno (spesso raccomandato dalla politica) andiamo incontro al disastro più completo, soprattutto per le tasche dei contribuenti.

Il caso Alitalia, oltre che abbastanza recente, rappresenta a mio parere un esempio lampante di come spesso vendere al miglior offerente, anche se straniero, rappresenterebbe la soluzione migliore.

Alitalia, posta in amministrazione controllata  il 26 agosto 2008, è stata acquisita dalla cosìdetta C.A.I. (Compagnia Aerea Italiana), fortemente voluta dall’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ricordate?

“Un paese turistico come l’Italia non può restare senza un vettore nazionale. Air France porterebbe i turisti a visitare le bellezze francesi…” 

“Su Alitalia rifarei la stessa scelta: il nostro paese non può non avere una compagnia di bandiera. Fosse caduta nella mani di Air France, conosco bene i francesi, tanti turisti sarebbero finiti a visitare i castelli della Loira invece che la nostre città d’arte…”


Con la scusa di salvaguardare i posti di lavoro e il patrimonio nazionale, la cordata di imprenditori guidata dal sig. Colaninno impedì a Air France (la quale si sarebbe presa tutta Alitalia, debiti compresi!) di acquisire la maggioranza delle azioni, costituendo C.A.I. e prendendo in gestione la compagnia italiana.

Il bello è che i debiti di Alitalia sono stati scaricati sui contribuenti, poiché C.A.I. non ha acquisito totalmente la compagnia ma soltanto le parti più importanti e redditizie, lasciando la patata bollente (debiti ed esuberi) allo stato.

Risultato?

Pochi giorni fa la gestione C.A.I. Ha fatto i conti del quadriennio 2008-2012 e le cifre che sono venute fuori sono spaventose: tutti i bilanci annuali in rosso, erosione di circa 800 milioni di euro di patrimonio netto e una perdita quotidiana di circa 630 mila euro.

Agli italiani l’accollarsi della parte marcia di Alitalia è costato 4 miliardi di euro, l’equivalente di circa quattro manovre sull’IVA.

A conti fatti, non era meglio vendere Alitalia a Air France invece che tenerla in vita in nome di una presunta italianità, sostenendo di fatto una finanza che privatizza gli utili e statalizza le perdite?

Luca Francesconi

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