Quando gli abusi non hanno confini – VIDEO

1 Mar

Spesso sulle pagine di questo blog ho denunciato casi di abusi e malapolizia nel nostro Paese, ma in questi giorni non possono e non devono lasciare indifferenti le notizie di due orrendi omicidi di stato avvenuti rispettivamente in Belgio e in Sud Africa. Soprattutto per i filmati choc che testimoniano i misfatti.

JONATHAN JACOB. 

I fatti risalgono al gennaio 2010, ma la notizia è uscita dall’ombra soltanto ora. Jonathan Jacob, 26 anni, è stato ucciso in una cella di Mortsel, in provincia di Anversa, dove era detenuto.

Nel video si vede Jonathan, completamente nudo, che sale sulla brandina rifugiandosi in un angolo, mentre ben otto agenti entrano nella piccola cella lanciando un razzo luminoso. In pochi secondi lo aggrediscono senza pietà a colpi di manganelli e scudi antisommossa. Viene letteralmente sommerso, senza possibilità alcuna di difendersi. Una violenza inaudita, brutale e soprattutto immotivata.

Alla fine resta soltanto una macchia di sangue sulla parete, mentre gli uomini somministrano al giovane un’iniezione. Poi, quando tutto finisce, un medico entra in cella. Ma è troppo tardi: Jonathan Jacob è morto, Jonathan Jacob è stato ucciso senza un perchè. 

L’autopsia ha stabilito che la causa del decesso di Jacob è stata un’emorragia interna, provocata dalle percosse ricevute dai poliziotti. Al momento però soltanto un agente è stato rinviato a giudizio.

MIDO MACIA.

Mido_Macia

Pochi giorni fa a Johannesburg Mido Macia, tassista di 27 anni, è stato trovato morto in commissariato. In precedenza Mido avrebbe parcheggiato in maniera tale da bloccare il traffico. A quel punto, sostengono fonti della polizia, avrebbe insultato un agente e estratto un’arma.

Allora i poliziotti lo hanno catturato, legandolo per le mani e attaccando la corda alla parte posteriore del loro furgone. Poi lo hanno trascinato in queste condizioni per 400 metri. Una barbaria che non può essere in alcun modo spiegata. 

Mido è deceduto nella cella della stazione di polizia dove è stato portato. Secondo l’autopsia la morte è avvenuta in seguito a un’emorragia interna, dovuta alle ferite riportate alla testa provocate con tutta probabilità dal trascinamento.

 

Le ragioni di Ingroia

30 Ott

«Rimani, il processo ha bisogno di te» l’urlo di Salvatore Borsellino, «Vado in Guatemala, ma a ragion veduta: gioverà al procedimento» la risposta di Antonio Ingroia.

Si potrebbe sintetizzare così la conferenza-incontro avvenuta tra i due giovedì scorso a Firenze, incentrata manco a dirlo sul tema della Trattativa tra stato e mafia, il cui relativo processo ha preso il via, tra mille polemiche, proprio ieri.

L’appassionato intervento di Salvatore, leader del Movimento delle Agende Rosse, ha puntato il dito contro chi ancora parla di “fantomatica trattativa”, ignorando i fatti riconosciuti anche in sede giuridica.

Inevitabile inoltre l’attacco ai vari Mancino, Violante e Martelli:«Finalmente si rotto un decennale silenzio sull’argomento grazie ai collaboratori di giustizia – ha spiegato ai numerosi ragazzi presenti – ma sto ancora aspettando un pentito del mondo politico e istituzionale».

Sul conflitto di attribuzione sollevato da Napolitano è lapidario:«Si tratta di un macigno posto arbitrariamente sulla strada della verità».

Salvatore, infine, ha chiuso il suo intervento con il già citato appello a Ingroia:«Ti chiedo di rinunciare all’incarico in Guatemala per continuare la nostra battaglia qui in Italia. Se ci sarai per me sarà come vedere Paolo in aula – ha concluso commosso, tra gli applausi – giustizia e verità ne trarrebbero vantaggio».

Il magistrato invece apre il suo intervento con un altro appello, diretto questo alla società civile:«Siamo costretti a fronteggiare omertà, depistaggi, reticenze di uomini di mafia e stato – ha spiegato – non ce la possiamo fare da soli. Abbiamo bisogno di voi, della società. Falcone diceva “La gente fa il tifo per noi” – ha continuato – aveva capito che solo creando un ampio movimento di sostegno si poteva fare qualcosa di concreto».

Ingroia poi risponde, con un’analisi lucida e ampiamente condivisibile, a Salvatore Borsellino:«Non rinuncerò al mio incarico in Guatemala – ha annunciato – ma non si tratta solo di rispettare la parola data alle Nazioni Unite. Negli ultimi tempi, infatti, si sono moltiplicati gli attacchi alla mia persona e a livello istituzionale sono stato isolato. Se restassi quindi le polemiche non si fermerebbero e questo non farebbe bene all’indagine e al lavoro dei miei colleghi – ha spiegato – se vado via, invece, per un certo periodo ci sarebbe più serenità. D’altra parte la fase dell’indagine è terminata e in aula non potrei dare un grande apporto, mentre dal Guatemala potrò dire tutto quello che va detto.

Ci sono molti che sanno la verità – ha concluso – dobbiamo costringerli a dirla».

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Libera riflessione sul Botellon

30 Set

Alla fine è stata la pioggia a lavare via tutto, senza guardare in faccia a nessuno: via music, fun, drinks e respect, per parafrasare lo slogan del macro-botellon di sabato scorso, ma anche via polemiche, ansie, moralismi, forze dell’ordine, residenti sul piede di guerra e quant’altro.

In molte città si è trattato di un macro-flop, a causa del cattivo tempo che ha spaventato molti lasciando le piazze vuote. Dove invece il meteo è stato clemente, si è registrata un’affluenza molto alta. Ma, al di là dell’effettiva riuscita della manifestazione, credo sia opportuno fare una riflessione sul vero senso del botellon, andando per forza di cose in direzione opposta al tam-tam mediatico dai toni catastrofisti sviluppatosi in città nei giorni precedenti.

Il botellon è primariamente un momento di socializzazione e di aggregazione a costo zero: libere persone in un libero stato che, senza fini di lucro, decidono liberamente con il potere del passaparola di trovarsi in un posto per stare insieme, divertirsi, ascoltare un po’ di musica e passare una serata diversa.

Già per questo, il botellon meriterebbe un plauso. Contro l’ordine prestabilito dei locali alla moda, contro il diktat delle discoteche di grido, contro i soldi sperperati a vuoto nei weekend, contro la puzza sotto il naso, i giovani decidono finalmente di fare qualcosa di diverso.

Veniamo ora al punto più controverso: il bere. Innanzitutto al botellon nessuno è obbligato a assumere qualsiasi forma di alcolici. Anche gli astemi, udite udite, possono partecipare al botellon. Premessa più che ovvia, si può obiettare, ma necessaria vista la connotazione più che negativa dell’evento che ha preso piede in città. Non è obbligatorio bere e tanto meno non è obbligatorio ubriacarsi, ma, quello si, ognuno è libero di farlo. Nel rispetto dell’ambiente e della sicurezza però: niente rifiuti lasciati per strada e niente bottiglie di vetro, potenzialmente pericolose. Il codice è essenziale e, proprio per questo, chiarissimo.

In tutto questo stupisce l’accanirsi contro il botellon: la gente beve, si ubriaca, fuma e si sballa con impressionante regolarità, seguendo il naturale susseguirsi dei fine settimane, dentro e fuori i locali, le discoteche e i pub, spendendo quando lo stipendio quando la paghetta di mamma e papà. Ma questo è lo status quo e nessuno si permette di attaccarlo, sia mai. L’economia deve girare, i minorenni sono al sicuro (!), se succede qualcosa di brutto la colpa sarà dell’immigrato di turno e, soprattutto, “mio figlio/a non frequenta questi giri”.

Il botellon invece spaventa, ma non è ben chiaro il perché. Probabilmente i critici dovrebbero andarci almeno una volta, anche solo per cinque minuti, per capire qual è la reale atmosfera che si respira al botellon. Si balla, si canta, si fa festa, si sta con gli amici e se ne conoscono di nuovi, il tutto in grande tranquillità.

Colpisce infine, anche la massiccia presenza di forze dell’ordine di ogni genere: nel 2010 in via Roma pareva di essere al g8 di Genova, sabato scorso perlomeno erano solo una ventina (tra quelli in divisa e quelli in borghese) a monitorare la pioggia scendere dal cielo. Chapeau.

Alessandro Benigni

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Diaz, appello contro De Gennaro

16 Lug

L’obiettivo dichiarato è quello di sollevare dall’incarico di sottosegretario agli interni Gianni De Gennaro, il capo della polizia all’epoca del G8 di Genova, che avvallò l’assalto alla Diaz. Si perchè De Gennaro, come ricordano gli “Avvocati Liberi”, gruppo di giuristi promotore dell’appello a Mario Monti, è l’unico che non solo è uscito indenne dal processo giudiziario, ma che è anche stato promosso, andando a ricoprire un incarico di governo. Una vergogna per tutti i cittadini italiani, l’ennesima offesa a tutte le vittime delle violenze di Genova, un affronto ai principi di Giustizia, Democrazia e Libertà scolpiti nella Costituzione della Repubblica Italiana.

Per sottoscrivere l’appello, basta scrivere una e-mail a osservatorio.diritti@tiscali.it

Ma non basta. Non fermiamoci qui. Diffondete questo post, fatelo girare. Twittatelo. Aderite al relativo evento su Facebook (dove potrete trovare anche il testo completo dell’appello) e invitate tutti i vostri amici a fare altrettanto. Più saremo più difficile sarà ignorarci. 

Ecco qualche stralcio dell’appello:

Nomi come Diaz, Bolzaneto, le immagini dei pestaggi, della violenza inaudita e immotivata delle forze dell’ordine, sono un’onta indelebile per la nostra Democrazia.
Un’onta che la Giustizia non potrà comunque alleviare.
Le ferite che sono state aperte quel giorno non sono ancora rimarginate.
E non le rimargineranno le condanne in sede penale dei dirigenti funzionari e agenti di Polizia. Non le rimargineranno le condanne del Ministero degli Interni al risarcimento dei danni per le condotte illecite poste in essere dagli appartenenti alle forze di Polizia.
De Gennaro era il capo della Polizia in quei giorni. Era il capo della Polizia durante quella tragedia.
Era il capo di quella Polizia accusata da Amnesty International di aver sospeso i diritti democratici.
A volte, caro Presidente, si può essere responsabili anche senza avere una responsabilità diretta. 
A volte si è responsabili di qualcosa anche senza averne la responsabilità giuridica.

All’indomani della sentenza della Cassazione che confermava le condanne inflitte a dirigenti e agenti per i fatti della Diaz, nessuna scusa, nessun mea culpa, da parte del dott. De Gennaro ma solidarietà per i condannati. 

Che dei poliziotti costruiscano finte prove per incolpare qualcuno è agghiacciante;
che queste finte prove servano a pestare ragazzi inermi che stanno magari dormendo, la “ macelleria messicana “ come definita da un funzionario di polizia, è ributtante.
Che un sottosegretario, poi, sia pienamente concorde con questa linea di condotta è inquietante.

Le chiediamo, con il rispetto che portiamo per la Sua carica, ma con la fermezza di cittadini italiani, desiderosi di credere di vivere ancora in un Paese democratico, di revocare l’incarico Istituzionale conferito al dott. De Gennaro.

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La lezione di speranza di Don Gallo

10 Giu

E’ un vero e proprio “one man show” quello di Don Andrea Gallo, intervenuto a Pietrasanta alla manifestazione “Anteprime”  insieme a Vauro Senesi per presentare il loro nuovo libro, in uscita a ottobre, “Come un cane in chiesa – il Vangelo respira solo nelle strade” (il cui ricavato andrà alla comunità di San Benedetto al Porto).

In una Piazza Duomo gremita all’inverosimile Don Gallo, con la consueta grinta nonostante le ottantaquattro primavere, dà la scossa a tutti presenti con un lungo e commovente discorso, fatto di parole taglienti che vanno dritte al punto, senza girarci intorno.

Il Don afferma che solo nelle strade e nell’incontro si trova il Vangelo, non nelle chiese dorate del Vaticano. E proprio nei confronti del Vaticano spende parole importanti, scagliandosi contro i suoi privilegi (per esempio l’esenzione dall’ICI) e contro le sue logiche («Siamo uomini di fede per servire, non per essere serviti»). Non mancano poi gli affondi sull’omosessualità («Chi parla di “problema” dei gay ha già sbagliato in partenza») e sull’uso del preservativo.

Ma lo scatenato Don Andrea non risparmia nemmeno il mondo politico, reo di prendere costantemente in giro cittadini e lavoratori. Richiamandosi ai valori della Costituzione afferma, come Don Milani, che «Politica significa uscire tutti insieme dai problemi, partendo dagli ultimi».

Il filo conduttore del suo intervento a ruota libera è la speranza, che ripone soprattutto nei giovani. E forse è proprio questa la lezione più grande del Don, quella di non smettere mai di sperare e di lottare. «Impegnatevi, organizzatevi, studiate, alzate la testa!» conclude.

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Lo scivolone dei Litfiba

30 Mag

Premessa doverosa: il sottoscritto è una grande fan dei Litfiba.

Proprio in quanto tale però, sono ancora più deluso per quello che sta accadendo in questi giorni riguardo al concerto organizzato per il primo giugno.

Annunciato il 16 aprile, il grande evento si sarebbe dovuto tenere, per la prima volta nella storia della band, allo stadio “Franchi” di Firenze. Sul palco, oltre a Piero e Ghigo con la formazione della reunion, prevista anche la presenza di membri storici come il bassista Gianni Maroccolo, il tastierista Antonio Aiazzi, il chitarrista Federico Poggipollini e il cantante dei Diaframma Federico Fiumani.

Costo del biglietti sui principali circuiti: 45€. Prezzo un po’ alto per gli standard del gruppo fiorentino, ma tant’è. Non è certo mia intenzione stare a sindacare su questo.

Nessun problema quindi, anzi, solo un’attesa crescente per l’evento che si stava avvicinando. Se non fosse che qualche giorno fa, passando per caso dalla Fnac a Firenze, scopro che i biglietti per il concerto sarebbero stati messi in vendita al prezzo speciale di 15€ in due eventi promozionali a fine maggio.

Inutile sottolineare che si tratta di una mancanza di rispetto nei confronti di chi, quello stesso biglietto, lo ha pagato il triplo. Inutile sottolineare che la mossa sia stata con tutta probabilità dettata da una prevendita abbastanza deludente. Fatto sta che ci sono rimasto parecchio male.

Ma, purtroppo, non finisce qua. Oggi infatti leggo con stupore che il concerto è stato spostato al Mandela Forum causa maltempo. Ora, al di là dell’opinabilità delle previsioni meteo, non ho ricordanze di cambi di location preventivi per qualche spruzzo di pioggia. Soprattutto se, nei principali siti di previsioni meteorologiche, questa pioggia a Firenze venerdì non pare proprio dover arrivare.

Anche in questo caso poi vien logico pensare che l’organizzazione abbia pensato bene che fosse stato meglio un Mandela pieno che un Franchi semivuoto (fermo restando l’idea di una prevendita alquanto sottotono).

Risultato? Uno ha comprato un ticket per il concerto dei Litfiba al Franchi a 45€ e si ritrova a dover andare al Mandela Forum (già teatro di un loro show qualche mese fa), magari fianco a fianco con qualcuno che lo stesso biglietto lo ha pagato un terzo. Che delusione per molti fans, che scivolone per i Litfiba.

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Né verità né giustizia per Marcello Lonzi

14 Mag

Fine della corsa. La corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato irricevibile il ricorso presentato da Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi, morto nel 2003 a ventinove anni nel carcere di Livorno.

Le foto parlano chiaro, così come le perizie mediche del dottor Salvi. Otto costole rotte, tre buchi in testa, numerose ecchimosi provocate da altrettante manganellate. Per non parlare del sangue sparso nella stanza, della strisciata rossa sul pavimento, segno inequivocabile che il corpo sia stato riportato nella cella dall’esterno. Un pestaggio finito male, come tanti altri.

Invece, per il pm Pennisi, fu infarto. Morte naturale. E quindi archiviazione dell’accusa di omicidio contro ignoti, confermata, manco a dirlo, anche in Cassazione.

Per l’Italia niente di nuovo, purtroppo. Un paese dove il reato di tortura non esiste, un paese che può vantare la più grande sospensione dei diritti umani dopo la seconda guerra mondiale, un paese dove ci si ricorda dei fatti del G8 solo grazie a un film ma sui quali siamo ben lontani da fare piena giustizia.

Ma, in Europa, ci si sarebbe aspettati che il ricorso fosse quanto meno discusso. Invece così non è stato. La macchia dell’omertà ha valicato i confini dello stivale e Maria Ciuffi non avrà mai giustizia per suo figlio. Morto per cause naturali.

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No Tav: Appello al presidente Monti

1 Mar

Circa venti giorni fa è stato inoltrato al Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti un appello firmato da 360 professori, ricercatori e professionisti per indurlo ad un ripensamento sul progetto TAV Torino-Lione. Il documento illustra con chiarezza le numerose criticità economiche, ambientali, energetiche e sociali dell’opera, a fronte dei fantomatici e non ben precisati benefici tanto decantati dai sostenitori del costoso tunnel. Un documento da leggere obbligatoriamente per poter parlare con cognizione di causa di Tav.

Ad oggi, il Presidente Monti non ha ancora risposto.

Potete sottoscrivere l’appello cliccando qua.

Il testo integrale dell’appello:  Appello No Tav a Mario Monti – 09/02/12

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Caso Abbà – analisi degli eccessi

29 Feb

Innanzitutto, chi è Luca Abbà? Un giovane militante No Tav, proprietario di uno dei terreni espropriati, pare illegalmente, lunedì scorso. E’ stato proprio questo il motivo del gesto di protesta di Luca; un disaccordo più che legittimo, si converrà, salvo che all’improvviso questo paese sia diventato terra di comunisti intransigenti nemici della proprietà privata.

Il nodo della questione è se salire su un traliccio dell’alta tensione sia una forma di protesta eccessiva o meno. Certamente è stato un gesto rischioso, nessuno lo mette in dubbio. E poi, “mica glielo ha ordinato il dottore di arrampicarsi”. Verissimo. Fatto sta che Luca, appollaiato lassù, difficilmente avrebbe potuto fuggire da qualche parte.

Non si spiega quindi perché le forze dell’ordine lo abbiano inseguito fin lassù. Per quale motivo? Che reato gli era contestato? Dove poteva scappare? L’operazione è apparsa, anche più del gesto di Luca, fuori luogo ed eccessiva. Nonché un unicum rispetto a quanto fatto in casi analoghi: basti pensare al recente caso degli operai di Udine che si sono inerpicati su una gru perché non percepivano da mesi lo stipendio: nessuno ha cercato di smobilitarli con la forza.

Ci permettiamo di dare i domiciliari a un reo come Schettino perché non sussiste il rischio di fuga e poi s’inscena una caccia a un libero cittadino su un traliccio dell’alta tensione? Follia.

Per non parlare poi di tutti gli altri interventi sproporzionati e insensati delle forze dell’ordine in questi anni di lotta contro i No Tav. Uno a caso, il più recente: l’episodio della stazione ferroviaria di Torino. Con un gruppo di giovani manifestanti caricati senza motivo e vagoni (che ospitavano anche molti pendolari) riempiti di gas lacrimogeni così, per sport.

Forse, rispetto alla protesta di Luca Abbà, sono più preoccupanti questi eccessi dello stato.

#ForzaLuca

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In memoria di Vittorio Cappellini

10 Gen

Anche se sono passati già due anni e mezzo, al Centro Sportivo Legno Rosso si sente ancora la sua mancanza. Ti aspetti sempre di trovarlo lì, dove è stato per anni, in quella che per lui era davvero una seconda casa; e quando ti accorgi che non c’è più, la tristezza e la delusione sono inevitabilmente grandi. Parliamo di Vittorio Cappellini, figura arcinota nel mondo del calcio giovanile pistoiese e punto di riferimento per l’AC Capostrada e per tutti i suoi ragazzi, che ci ha lasciato il quattro agosto 2009, all’età di settantacinque anni.

Vittorio, co-fondatore della società nel 1972, ha prestato opera di volontariato per la stessa per quasi quarant’anni, senza mai percepire un centesimo, contribuendo a portare avanti un’associazione calcistica che a oggi conta più di quattrocento giovani.

Ma Vittorio non era solo un dirigente, era molto di più. Era l’amico di tutti i bambini alle prime esperienze calcistiche, che erano spesso incantati dai suoi racconti e con i quali riusciva a entrare in simbiosi con una disarmante abilità. Era colui che scorrazzava con il pullmino della società per tutta la provincia, andando a prendere i ragazzi a casa per portarli ad allenarsi al campo, macinando chilometri su chilometri. Era colui che incantava tutti i suoi interlocutori con particolari aneddoti e con il suo filosofeggiare. Era colui che parlava di giovani talenti come se fossero suoi figli, che amava il calcio in tutte le sue forme tranne che in quella più bieca, ossia la rincorsa di un risultato a tutti i costi.

Vittorio era stimato e benvoluto da tutti: inevitabile quindi che la sua dipartita abbia lasciato un vuoto enorme, un vuoto che mai nessuno sarà in grado di riempire.

Per questo i familiari, rappresentati dal nipote Federico Flori, stanno portando avanti un’importante iniziativa in sua memoria. «Ci stiamo adoperando nelle sedi opportune per far intitolare il Centro Sportivo Legno Rosso a Vittorio – spiega Federico – un gesto doveroso per una persona fantastica che ha cresciuto generazioni di ragazzini con saggezza e dolcezza».

La famiglia non è sola in questo percorso: l’AC Capostrada, infatti, ha accordato pieno sostegno all’idea, mentre i pistoiesi fanno sentire il proprio appoggio su facebook: ben duecentotrenta gli iscritti al gruppo in memoria dello scomparso dirigente, centocinquanta i partecipanti all’evento “Intitoliamo il Centro Sportivo Legno Rosso a Vittorio Cappellini”.

Impossibile non sostenere l’iniziativa, un giusto tributo per una persona speciale, d’altri tempi, che purtroppo non ha eguali in vita. Per rendergli omaggio in quel tempio del calcio giovanile che lui stesso ha contribuito con forza a creare. Ciao Vittorio.

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